Libera scorribanda tra gli strumenti, i canti e i balli della tradizione musicale dell’Emilia e della Romagna. Mani affondate nella ricchezza di forme e sonorità caratteristiche della regione. L’Emilia e Romagna deve alla propria collocazione e conformazione geografica questo ruolo/carattere di ponte, di cerniera tra nord e sud, tra est e ovest: adagiata sulla pianura Padana, con i piedi nel sud antico dell’Appennino e lo sguardo sempre volto all’oriente dove il sole sorge. E dove risiedono i sogni.

L’Emilia e Romagna è uno spazio dove Etruschi, Latini, Galli, Bizantini e Longobardi hanno depositato sedimenti culturali non più rimossi. Nei nomi di fiumi, monti, paesi e città, nei resti storici e archeologici, nelle manifestazioni culturali, nei dialetti così come nelle produzioni della cultura materiale (gastronomica innanzitutto) sempre emerge, sottoforma di bipolarità sud-nord, est-ovest, una tensione a distendersi, ad allungarsi in ogni direzione: vocazione ad un’apertura che pare essere la cifra stilistica, il genere delle genti che abitano la regione.

Nella musica popolare tutto ciò trova ulteriori conferme ed evidenze, divenendo ricchezza di generi, stili, strumenti: i musicisti emiliano romagnoli sono gli unici che possono avere nel proprio repertorio di tradizione la giga, celtica nel nome come nell’esecuzione, e il saltarello che rimanda ai ritmi del centro-sud, così come le ottave rime e gli stornelli del sud mediterraneo si accompagnano, nelle voci dei cantanti, alle ballate e ai canti per i riti agrari del nord celtico. Mandolino, violino, piffero, ocarina, piva e musa (cornamuse dell’Appennino emiliano), fisarmonica, ghironda sono gli attori di questa musica estremamente ricca, diversificata, vivace eppure così sconosciuta, probabilmente perché così poco codificabile nella sua molteplicità di espressioni, oppure perché ignorata dai meccanismi delle mode musicali.